lunedì 29 giugno 2015

IL SIMBOLO DEL DRAGO TRA ORIENTE ED OCCIDENTE

In ultima analisi, qualunque realtà sia all'origine del mito del drago, ai più apparirà senza dubbio più realistico dire che il mito si basa sempre su un'istanza umana, una necessità di produzione della mente. Va da sé, dunque, che la mitopoiesi sia un veicolo d'elezione - e da ciò parte del suo grande fascino - per lo studio e la comprensione dell'uomo stesso. E poiché la simbologia del drago ha permesso di compensare più di una istanza dell'essere umano, il drago si fa mezzo di conoscenza dell'uomo. A livello simbolico, più ancora che nei tratti somatici e leggendari, si pone una divisione macroscopica tra le due maggiori famiglie di draghi, quella orientale e quella occidentale. Vieppiù, non tanto nel simbolismo,quanto nel modo del l'uomo di rapportarsi a esso nelle due diverse aree culturali. Il simbolismo del drago in sé ha infatti numerosi e rilevanti tratti in comune tra i due emisferi: primitivamente i draghi erano ovunque associati alla padronanza delle potenti forze primordiali della "Grande Madre Terra",impersonando le quali essi potevano farsi sia creatori che distruttori, detentori di un controllo sul destino dell'umanità. Energie caotiche al di fuori del controllo - quando non addirittura della comprensione - dell'uomo, il quale le vede manifestarsi con un senso di enorme meraviglia e spesso di grande timore reverenziale. Un esempio pressoché ubiquo è rappresentato dall'attribuzione ai draghi del controllo delle forze violente delle acque nelle loro varie forme. Non solo l'Estremo Oriente, ma anche l'Africa e l'Europa possiedono leggende sotto questo segno; tra gli esempi più celebri il fiume III in Tirolo, che era personificato da un drago e il fiume Rodano in Provenza, dove viveva la femmina di drago La Tarasque, 

che fu uccisa da santa Marta con una croce e dell'acqua santa. Neppure è un caso che i draghi, alla pari di altre creature dai tratti fantastici, popolino sempre luoghi inaccessibili - cioè non facilmente esplorabili dall'uomo e quindi misteriosi - come il fondo dei mari o dei laghi, il cielo, o remoti antri montani. Lì possono trovare dimora le paure degli uomini, collocate nell'ignoto. Il mistero è anche qui, come altrove, una ch iave per capire vari collegamenti tra miti e corrispettivi spunti mitopoietici. Ma proprio qui si può ravvisare il sorgere di una consueta differenza di approccio allo stesso simbolo tra Oriente e Occidente: in Oriente l'uomo sceglieva di conciliarsi, integrarsi e finanche sottoporsi, adorandole, alle sopraccitate potenze cosmiche selvagge; e allora ecco i riti e le usanze per compiacere il drago, cioè, alla fine, la natura e suscitarne le manifestazioni utili, bandendo quelle dannose. In Occidente, invece, si ergeva a loro dominatore e regolatore: l'uomo regolato del cosmo antropocentrico che doveva porre rimedio al caos primigenio. Ne deriva che in Occidente il drago è visto per lo più negativamente, mentre in Oriente può provocare manifestazioni sia benigne che maligne, che neppure vengono pensate con questi attributi, ma solo come aspetti diversi della natura, senza un giudizio etico.
A ogni modo, il drago - creatura carnale o simbolica - si associa nella maggior parte dei casi a paure innate e predisposte. Il fatto che nell'aneddotica occidentale il giovane dovesse uccidere un drago come rito d'iniziazione può essere forse letto come il superamento delle sue paure di bimbo o di essere umano in formazione per diventare un adulto forte, con l'esempio di prodi del calibro di Beowulf e, attraverso la mirabile prodezza, ottenere il riconoscimento del valore vi rile, necessario all'accettazione sociale con la stima e l'ammirazione del gruppo. Il drago come rito individuale e sociale di passaggio all'età adulta, dunque. Inoltre, poiché il drago è una creatura di grande potenza, spesso affrontabi le solo da un'altra creatura mitologica, come un gigante o un eroe, si muta in una icona importante e ambita per mettere in risalto l'abilità almeno altrettanto straordinaria di un uomo. Così il drago diventa per gli eroi occidentali prova e premio supremi, quindi ricettacolo di aggressività. Ecco che i draghi diventano in molte culture - tra cui quelle indiana, greca e mediorientale - maligni e crudeli. 
Parallelamente troviamo in quelle stesse culture il mito del cavaliere e dell'eroe che uccide il drago, tanto che persino la leggenda di san Giorgio, martire cattolico che assurge a modello più noto di mito occidentale del drago, si richiama a esso, permettendoci un collegamento ideale tra Oriente e Occidente. Infatti si pensa che il santo vissuto nel III secolo morì aLydda, in Palestina (l'attuale città israeliana di Lod), e secondo la sua biografia narrata nel 1265 da Jacopo da Varagine nella sua Legenda Aurea, Giorgio salvò la figlia di un re libico da un drago. 

Ebbene, dalla storia di san Giorgio emergono interessanti richiami al mito greco di Perseo, che salva Andromeda da un mostro marino proprio presso Lydda. E a sua volta la storia di Perseo, come quelle di moltissimi altri cavalieri che salvano donzelle dalle fauci del draghi, presenta un canovaccio diffuso. In Occidente, dunque, è lunga la tradizione che vede il drago come essere malvagio e identificato con forze malefiche. E se non si deve al cristianesimo l'invenzione della sua uccisione - quanto piuttosto a un travisamento di precedenti culti animistici - è vero che di tale tradizione, come di altri miti e simboli di credenze precedenti, il cristianesimo si appropriò in maniera massiva ed efficiente.

http://alt3r3g0.blogspot.it/2009/01/il-simbolismo-e-la-mitologia-del-drago.html

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