mercoledì 15 luglio 2015

LA COSTELLAZIONE DEL DRAGO



Elaborazione di Maria Grazia La Rosa

 

 

Anticamente, quando furono create le costellazioni da astronomi a noi sconosciuti, la stella polare non era la nostra Polaris, nella coda dell’Orsa Minore, bensì la leggendaria Thuban, posta nel corpo di quell’immenso serpente di stelle che è il Drago, il sinuoso mostro del cielo posto esattamente nel perno di rivoluzione di tutta la volta celeste. Da allora, lentamente, per via della precessione degli equinozi, il polo si è spostato fino a raggiungere l’odierna Stella polare.

La figura del Drago conteneva il Polo Nord, ma anche il polo dell’equatore e quello dell’ellittica, su cui erano disposti i dodici segni dello Zodiaco.

Nelle pietre confinali mesopotamiche, vecchie di quattromila anni, scolpite con bassorilievi a soggetto storico ed astronomico, spesso ricorre fra i molti simboli stellari il Drago, che si snoda sulla parte alta della pietra: nella parte bassa c’è sempre il lungo serpente acquatico, l’Idra, mentre nel centro è situato il serpente piegato ad angolo retto che Ofioco regge fra le sue mani. L’Idra segnava l’equatore quasi da un polo all’altro ed il serpente di Ofioco seguiva l’equatore celeste fino a quando intersecava il meridiano dell’equinozio autunnale, allora si piegava ad angolo retto e lo seguiva fino ad indicare lo zenit con la stella posta sulla sua testa.

I termini “Testa del Drago” e “Coda del Drago” sono stati presi come simboli astronomici dei nodi ascendenti e discendenti del percorso apparente del Sole, i punti, cioè, dove sembra che ascenda l’equatore, in primavera e ne discenda, in autunno. Allo stesso modo l’orbita della Luna interseca il moto apparente del Sole in due punti, i suoi due nodi; l’intervallo di tempo fra il passaggio attraverso uno di questi nodi ed il suo ritorno allo stesso è chiamato Mese del Drago o Draconico. Inoltre, un’eclissi di Sole o di Luna può solo avvenire quando questi due corpi si trovano vicino ad uno dei due nodi: la “Testa del Drago” o la “Coda del Drago”. Questa relazione viene espressa dal detto “il drago causa le eclissi”: infatti molti miti in tutto il mondo rappresentano le eclissi con un drago che divora il Sole o la Luna.


La predizione delle eclissi era considerata la più sofisticata conoscenza che un astronomo potesse avere. Chi aveva disegnato le costellazioni ci ha lasciato tracce che ci permettono di stabilire che le conoscenze del tempo erano tali da poter predire le eclissi; fu dopo un lungo viaggio in Mesopotamia che Talete di Mileto (624 ca - 546 a.C.), studiando con i matematici caldei, apprese tanto sulle cose celesti da non esitare a predire un'eclissi totale di Sole; eclissi che nel maggio del 585 a.C. puntualmente si verificò, interrompendo, come narra Erodoto, la guerra in corso tra lidi e medi.

La conoscenza delle figure draconiche o serpentine dava la chiave delle leggi del cielo stellato, che era rappresentato da un albero i cui frutti erano le stelle ed il tronco il loro asse di rotazione; naturalmente il sommo guardiano di questo “Albero della Scienza” era il Drago. Una sua qualità era l’instancabile vigilanza, la sua vista era eccezionale e non dormiva mai, caratteristiche, queste, che venivano attribuite agli astronomi; sembra che la radice di Drago venga dal greco derkein, vedere.

I sumeri consideravano Drago il mostro femminile Tiamat, simbolo del caos primordiale, che fu sconfitta da Marduk in un epico duello alla fine del quale fu tagliata in due pezzi, una metà divenne la costellazione del Drago e l’altra, la costellazione dell’Idra.

Il fatto che le stelle del Drago non solo non tramontavano mai, ma occupassero anche il trono centrale fra le costellazioni, faceva di questa creatura il vero simbolo dell’eternità, della consapevolezza e della vigilanza.

Come guardiano dell’albero dei Pomi d’oro, cioè delle stelle, lo troviamo, col nome di Ladone, nel giardino delle Esperidi. E’ sempre un drago che sorvegliava, instancabile, nel giardino di Ares il Vello d’oro, méta ambita degli Argonauti partiti dalla Grecia per compiere un’impresa da carattere profondamente astronomico. Il Vello d’oro, infatti, rappresentava il segno dell’Ariete ed in quel momento i Greci stavano compiendo la grande operazione astronomica dell’avvento dell’Ariete a scapito del Toro come segno di primavera.

Cinquanta, fra dei, semidei ed eroi partirono in questo viaggio allegorico verso la Colchide, proprio vicino alle montagne del Caucaso, dove Prometeo era stato incatenato e da dove tanti miti e conoscenze erano giunti in Grecia. Giasone, il comandante solare della spedizione, riuscì nell’impresa di sconfiggere il drago solo con l’aiuto della maga Medea che, usando le antiche erbe delle pitonesse, fra cui il croco, che era nato dal sangue di Prometeo, addormentò il drago permettendo all’eroe greco di impossessarsi del Vello d’oro.

 

 

LE ESPERIDI

 

Espera, Egle ed Eriteide, figlie della Notte e di Atlante, custodivano in un giardino appartenente alla Madre Terra e posto sulle pendici delle montagne dell’Atlante in Mauritania, l’albero dei Pomi d’oro. Atlante rappresentava la saggezza astronomica di un popolo precedente alla cultura greca, la sua immagine è sempre quella di un titano che sorregge l’intera volta stellata ed è rappresentato fra le stelle dalla costellazione di Boote. 

Le Esperidi erano identificate con il tramonto, che tingeva il cielo dei meravigliosi colori dei Pomi d’oro e mentre il disco solare scompariva dietro l’orizzonte, appariva Espero, la stella della sera sacra ad Afrodite. I Pomi d’oro, spesso ritenuti semplici mele, erano, in effetti, un’allegoria delle stelle; in greco la parola melon indicava qualsiasi frutto rotondo; probabilmente i frutti terreni cui si riferivano le leggende erano le mitiche melagrane.

Riuscire ad impossessarsi dei Pomi d’oro era l’undicesima fatica di Ercole, il quale, seguendo i consigli di Nereo, aveva ucciso il drago Ladone con una freccia e poi, incapace di avvicinarsi, aveva persuaso Atlante a raccogliere i pomi, mentre lui, in cambio, avrebbe sorretto la volta del cielo; Atlante, in segno di gratitudine, non solo gli consegnò i pomi, ma gli insegnò l’astronomia. Infatti Atlante conosceva così bene l’astronomia da portare il globo del cielo sulle spalle; ecco perché si diceva che Ercole l’abbia alleggerito temporaneamente di quel peso. Ladone fu, poi, posto fra le stelle da sua madre, mentre Ercole, superate le dodici fatiche e con le conoscenze acquisite, diventò il Signore dello Zodiaco.

 

 

LA CADUTA DELL’UOMO

 

Molto vicino allo spirito religioso occidentale è il serpente biblico del vecchio testamento, che vive nell’albero della sapienza e della vita ed è un essere antichissimo, preesistente all’uomo. Eva è la sua confidente ed è iniziata ai suoi misteri, mangia il pomo della conoscenza incarnando, così, la pitonessa lunare, simbolo del matriarcato religioso; al contrario, il timido Adamo fa tutto ciò che lei consiglia, è impaurito anche dal suo Dio, che personifica il nuovo essere solare, Zeus, Shamash, che pone termine alla gerarchia sacerdotale delle donne ed al matriarcato. Quando Dio interroga Adamo, egli non spartisce il peccato con Eva, ma accusa lei insieme con il serpente il quale, nella punizione che segue, diventerà il diavolo tentatore, mentre Dio, avendo scacciato tutti, rimane signore e padrone del giardino fiorito.

Tutti i giardini delle delizie dell’antichità originariamente erano governati da deità femminili e, per ovviare a questo matriarcato prevalente sul patriarcato, quei giardini vennero usurpati dagli dei solari maschili. Hera era la dea del giardino fiorito e Signora del Melograno prima dell’arrivo di Zeus, di cui diventò moglie rassegnata.

Il mito biblico della caduta costrinse l’uomo a disprezzare la donna per tutti i mali derivati da lei ed a pretendere che lavori ai suoi ordini, ad escluderla dagli uffici religiosi ed a vietarle di occuparsi di problemi morali. Adamo è sempre impacciato nel suo ruolo di favorito da Dio, anche dopo la caduta. Diventato patriarca non sa decidere da solo, mentre Eva sembra essere molto più a suo agio nel mistero della nuova realtà. Si accoppia con Samaele (il serpente), poi se ne va da sola verso occidente fino all’Oceano, dove si costruisce una capanna e solo quando arrivano le doglie per il figlio che ha concepito chiede al Sole ed alla Luna di chiamare Adamo perché venga ad aiutarla nel parto. Nasce un bellissimo bambino ed Eva ne riconosce immediatamente l’origine divina. Egli è figlio del drago e lo chiama Caino, che significa “stelo” perché appena nato, il bambino si era alzato in piedi per andare a prendere uno stelo di grano che aveva donato ad Eva.

Nell’astrologia alessandrina Tolomeo assegnava al Drago le qualità di Saturno e di Marte, che generano una natura artistica ed emozionale, una mente penetrante ed analitica. Sono inoltre favoriti i viaggi e c’è la possibilità di avere molti amici, ma sussiste il rischio di essere derubati o di avvelenarsi accidentalmente. Era, infatti, opinione diffusa fra gli astrologi che quando una cometa avesse attraversato il Drago, il mondo sarebbe stato invaso dal veleno.

I cabalisti hanno assegnato al Drago il tredicesimo arcano dei tarocchi, La Morte.

 


SESTI, Giuseppe Maria, Le Dimore del Cielo – Archeologia e Mito delle Costellazioni, Novecento Editrice, Palermo, 1987

Tratto da: http://www.convivioastrologico.it/collaboratori/mg_larosa/drago.htm




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